LA CERAMICA DI PRODUZIONE LOCALE

Nel deposito votivo di piazza San Francesco a Catania, oltre a materiali di importazione da diverse parti del mondo greco, sono presenti anche numerosissimi vasi non decorati o a semplice decorazione di carattere geometrico o lineare, che per la loro povertà di ornamentazione, per le forme ceramiche e per la qualità dell’argilla, sono stati classificati come prodotti di officine locali. La loro presenza nel deposito votivo riveste, al di là della mancanza di pregi artistici, un notevole interesse, in quanto proprio queste caratteristiche li distinguono dalle altre classi ceramiche più note, lasciando pensare che, oltre che veri e propri doni votivi offerti alla divinità venerata nel santuario, in alcuni di questi vasi si possano riconoscere degli oggetti utilizzati nel corso delle cerimonie, o comunque legati a determinati aspetti del culto. 

Comune a tutte le classi è il tipo di argilla con cui sono realizzati, fine e dura, rare volte farinosa, di colore beige rosato, spesso con ingubbiatura, cioè un sottilissimo strato di argilla quasi liquido che veniva applicato come rivestimento. I vasi sono realizzati al tornio, in maniera accurata; la decorazione dipinta si limita a pochi motivi stilizzati e bande e fasce sul corpo. Una tecnica abbastanza diffusa è quella della decorazione ad immersione, che risale ad epoca arcaica ma si mantiene anche su esemplari di IV secolo a.C., ed è comune a pissidi, oinochoai, olpai e brocche: come indica il termine, il vaso veniva letteralmente immerso nella vernice a testa in giù, lasciando non decorata la parte inferiore.  Quasi costante è dunque la presenza di evidenti sgocciolature di vernice sulla superficie, fatto questo abbastanza comune e che a quanto pare non doveva pregiudicare l’utilizzo dei vasi come offerta. Altra caratteristica è l’uso di sovraddipinture in colore bianco, spesso mal conservato, di cui rimane a volte solo la traccia grigiastra.

La cronologia di tali oggetti non si discosta da quella dell’intero deposito, disponendosi fra il VI e il IV secolo a.C. 

Una delle forme più rappresentate

Una delle forme più rappresentate è quella della pisside stamnoide, testimoniata da più di 400 esemplari di varia tipologia; si tratta in generale di un vaso di piccole e medie dimensioni (comprese fra i 7 e i 13 cm), a corpo globulare od ovoidale con basso colletto sul quale doveva essere collocato un coperchio, di cui sono stati trovati vari esempi, anche se, a causa delle circostanze del rinvenimento, non in connessione diretta con il recipiente; il vaso quindi è fatto per contenere qualcosa, probabilmente un’offerta di piccole quantità di cibo, che doveva essere protetta mediante la chiusura dell’imboccatura.

Se ne distinguono due varietà, una caratterizzata dalle anse (manici) a ponticello, disposte sulla spalla in posizione più o meno inclinata, a volte anche perfettamente verticali, che in certi casi per il profilo più sinuoso, il piedino accentuato e la notevole altezza delle anse, richiama il tipo del lebes gamikos, un vaso strettamente legato al rituale del matrimonio, di cui ripete la forma in dimensioni ridotte; l’altra varietà presenta invece anse orizzontali a nastro disposte obliquamente.

La decorazione è limitata alla zona della spalla, e consiste generalmente in semplici fregi di fogliette o boccioli, o tralci di foglie d’edera stilizzati realizzati in vernice bruna; sul resto del corpo ricorrono linee e fasce dipinte anch’esse in vernice bruna, con a volte sovraddipinture in colore biancastro.

Questo tipo di pisside nelle sue diverse varianti è piuttosto comune in Sicilia, dove è diffuso nello stesso arco cronologico soprattutto nelle deposizioni funerarie delle necropoli e nei contesti sacri. La sua particolare abbondanza nel deposito catanese lascia pensare che questa forma potesse costituire un dono votivo piuttosto comune, forse per la sua funzione di contenitore di sostanze da offrire alla divinità; non è impossibile pensare però che esso possedesse altresì una sua specifica valenza simbolica, forse legata al mondo femminile e al matrimonio, come testimonierebbe la già citata vicinanza alla forma del lebes gamikos.

Gli altri tipi di vasi di produzione locale presenti nel deposito votivo sono soprattutto destinati a contenere e a versare liquidi, come le piccole olpai a corpo piriforme, che dovevano contenere piccole quantità di sostanze pregiate quali olii profumati ed unguenti, da utilizzare durante i momenti del culto, e le brocchette, che si distinguono dalle olpai per la forma del corpo, più globulare, e per il collo più stretto. 

Ampiamente rappresentata è anche l’oinochoe trilobata, vaso destinato a contenere e a versare sostanze liquide; la decorazione spesso è realizzata mediante immersione in vernice scura, limitata alla parte superiore del vaso, con frequente presenza di sgocciolature di colore, a volte con sovraddipinture in bianco.

Le caratteristiche di questo tipo di vaso lo rendono praticamente in indistinguibile dalle contemporanee o inochoai di produzione indigena; e non sempre si può stabilire con certezza se si tratti di oggetti prodotti nella stessa Katane, oppure se essi provengano dai centri indigeni dell’entroterra catanese. La presenza di questa forma di vaso a Catania potrebbe far pensare a offerte deposte da fedeli di stirpe sicula in quello che doveva essere uno dei maggiori santuari di una città greca della costa.

Ai vasi per versare liquidi si affiancano i piccoli contenitori aperti, che venivano utilizzati per il rito della libagione, vale a dire l’offerta sacrificale di bevande: ricordiamole piccole patere ombelicate o phialai mesomphaloi, generalmente non decorate, o a volte semplicemente decorate con fasce di vernice, con al centro della vasca un rigonfiamento circolare, l’omphalos, che costituiscono forse la forma numericamente più consistente nel deposito, e i piccoli piattelli e le coppette, che potevano, specialmente gli esemplari di dimensioni maggiori, essere utilizzati anche per contenere offerte solide.

A Cura di

Rossella Gigli, Ricercatrice ISPC CNR – Catania

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