Uno dei complessi forse meno conosciuti dagli stessi Catanesi, e tuttavia parte integrante e rilevante della complessa stratificazione storico-archeologica dell’area di via Crociferi, è il grande deposito di ceramiche e terrecotte figurate greche rinvenuto nel corso dell’estate del 1959 nella piazza San Francesco.
Frutto di una scoperta fortuita, avvenuta in occasione di alcuni lavori relativi all’interno di un condotto fognario nell’area compresa tra la chiesa di San Francesco e la statua del Cardinale Dusmet, e recuperato nel corso di uno scavo di emergenza, il deposito è, a tutt’oggi, la più importante testimonianza della fase greca della città e uno dei più ricchi contesti votivi del Mediterraneo occidentale. Lo scavo, reso particolarmente difficile per l’affiorare di una falda acquifera che correva ad un livello più alto rispetto a quello in cui si concentravano i materiali, richiese l’uso di una pompa idraulica e non consentì il recupero di dati stratigrafici.
Permise, invece, il recupero di 1200 cassette di materiale, in prevalenza ceramica e terrecotte figurate d’età arcaica e classica che coprono un arco cronologico compreso tra la fine del VII sec. a.C. e tutto il IV sec. a.C.
Il deposito era in realtà costituito da diversi nuclei di materiale, probabilmente diversi depositi cronologicamente distinti, individuati lungo i 27 m della trincea che dalla piazza San Francesco, scendeva verso via Vittorio Emanuele. Lo scavo, diretto da Giovanni Rizza in qualità di Ispettore onorario della Soprintendenza di Siracusa, non riuscì a mettere in luce tutto il materiale presente nell’area, ma solo quello recuperabile lungo il percorso della trincea.
Fu subito chiaro che l’estensione del livello archeologico relativo ai depositi doveva essere molto più estesa di quanto lo scavo non avesse evidenziato.
Comunicare la Ricerca:
iniziative di musealizzazione
e didattica
Nel corso degli ultimi anni, alcune mostre archeologiche organizzate dalla Soprintendenza di Catania e dal Parco Archeologico con la collaborazione dell’IBAM CNR:
ed altre iniziative didattiche curate dalle stesse istituzioni, hanno contribuito a far conoscere storia e materiali di questo importante contesto alla cittadinanza, con particolare attenzione alle generazioni più giovani.
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In queste occasioni, se statuette e ceramiche suscitano sempre grande interesse e curiosità, minore attenzione è in genere rivolta alla storia della scoperta che presenta, invece, dei risvolti interessanti – per quanto poco conosciuti – per comprendere quanto la consapevolezza civica del valore delle testimonianze del passato sia un fattore determinante per la salvaguardia, la valorizzazione e la trasmissione del patrimonio culturale.
La storia del recupero del deposito di piazza San Francesco non è, in questo senso, un esempio del tutto positivo: al grande entusiasmo seguìto alla scoperta nell’estate del 1959 ed evidente nell’eco che essa ebbe nella stampa locale e nazionale, si contrappongono le vicende accadute l’anno successivo.
Nel gennaio del 1960, infatti, come ricostruito da documenti d’archivio recentemente pubblicati si riaprì lo scavo per il collettore fognario nel punto in cui l’anno precedente era stato raccolto l’ultimo tratto del deposito; a nulla valsero gli interventi della Soprintendenza, allertata da Giovanni Rizza che presentò anche una diffida scritta all’impresa appaltatrice dei lavori, e dell’Ufficio Tecnico del Comune.
All’inizio degli anni ’60, a Catania, in pieno boom edilizio, il gioco è retto dagli interessi economici delle imprese che non ritengono vantaggioso dover perdere tempo nell’approfondimento di indagini archeologiche.
Il caso del deposito di piazza San Francesco non fa eccezione: l’impresa appaltatrice dei lavori – come si legge dai documenti conservati – oppose un netto rifiuto a qualsiasi variazione del programma dei lavori ed incurante del nulla osta dato dal Comune all’indagine archeologica, effettuò velocemente una colata di cemento rendendo così impossibile il recupero di un’altra consistente parte dell’importante deposito d’età greca.
A distanza di sessant’anni da questa vicenda, è opportuno domandarsi se oggi essa avrebbe avuto un esito diverso.
La risposta è certamente positiva.
Molto è cambiato soprattutto dal punto di vista legislativo dagli anni ’60 ad oggi nella gestione – da parte degli Enti preposti – degli scavi urbani di emergenza e nella capacità di svolgere politiche atte alla salvaguardia del bene culturale.
Lo strumento più efficace è certamente l’archeologia preventiva, che prevede la valutazione dell’impatto di “Opere pubbliche e/o di interesse pubblico sul patrimonio archeologico (art. 25 del D. Lgs 50/2016)”.
Nel caso di Piazza San Francesco, tale strumento sarebbe stato oggi utilizzato prima dell’inizio dei lavori per la fognatura, e la gran parte del deposito archeologico sarebbe stato recuperato.
Ciò che è cambiato in questo lasso di tempo, è sopratutto la consapevolezza del valore del patrimonio culturale, dell’importanza della sua tutela e valorizzazione e della sua trasmissione alle generazioni più giovani, tali valori sono oggi parte integrante dell’educazione del cittadino e costituiscono un aspetto fondamentale della sua identità.
Antonella Pautasso
Ricercatrice - ISPC CNR