Alla ricerca scientifica si attribuisce, di norma, il compito di indagare la realtà per scoprire quelle leggi che permettano di comprenderne il funzionamento e ricavarne conoscenza utile all’azione umana. Se la ricerca non deve sottostare ad altri principi oltre al rispetto della verità, ciò su cui si può, invece, discutere sono le sue applicazioni pratiche, che possono, queste sì, divenire oggetto di giudizio morale o soggiacere a interessi privati o collettivi.
Così lo sviluppo tecnologico e industriale, che la ricerca scientifica rende possibile, seduce grazie agli innumerevoli, piccoli vantaggi che rendono la nostra vita sempre più comoda, mentre arricchisce chi quelle tecnologie sviluppa e produce. Un vaccino, salva la vita di milioni di persone, mentre gonfia i portafogli delle grandi case farmaceutiche.
La ricerca scientifica applicata al patrimonio culturale genera anch’essa sviluppo e ricchezza economica?
Se una risposta positiva sembra quasi scontata, non risulta altrettanto banale comprendere come ciò possa, eventualmente, avvenire. Un rapporto indiretto, infatti, in questo caso media fra ricerca sul patrimonio culturale e valore economico.
Potente fondamento identitario, Il patrimonio culturale possiede un valore inestimabile, ma dal carattere peculiare. A differenza di un qualsiasi bene economico è l’unico, di fatto, a richiedere un atto di “comprensione” del proprietario che, nel caso specifico, coincide con il singolo individuo e con la comunità di cui esso fa parte.
È in questo processo di “assunzione di valore” che la ricerca scientifica svolge un ruolo cruciale, fornendo quella conoscenza necessaria affinché quest’atto di comprensione possa avvenire.
È tramite la generazione di conoscenza, validata, aggiornata e affidabile che la ricerca scientifica fornisce il più grande contributo alla valorizzazione del patrimonio culturale e ai processi di tutela, conservazione e restauro, senza i quali quest’ultima risulterebbe semplicemente impossibile.
Occorre, tuttavia, che la conoscenza di cui qui si parla sia condivisa, accessibile e, soprattutto, pienamente comprensibile ai molteplici soggetti potenzialmente interessati a farne uso.
Su tale consapevolezza prese avvio nel 2013 OpenCiTy.
Importanti progetti di archeologia urbana, quali il Mappa project dell’Università di Pisa, o il SITAR e l’Atlante di Roma antica condotti, rispettivamente, dalla Soprintendenza archeologica di Roma guidato da Mirella Serlorenzi e da un gruppo di ricerca dell’Università “La Sapienza” guidato da Andrea Carandini e Paolo Carafa, avevano chiaramente mostrato proprio in quegli anni le enormi potenzialità insite nella raccolta, analisi e condivisione dei risultati rappresentati dai Sistemi Informativi Territoriali.
Il momento era, dunque, propizio per provare a ricondurre a fattore comune gli innumerevoli dati che fra ricerca storico-antiquaria e indagini scientifiche erano stati prodotti nell’arco di diversi secoli sulla città di Catania, ma che la mancanza di una messa a sistema complessiva rendeva, di fatto, incapace di generare quella conoscenza utile non solo alla risoluzione di questioni storiche ancora aperte, ma anche ad uno sviluppo urbano concertato e sostenibile.
Nei sette anni trascorsi dall’avvio del progetto, OpenCiTy è cambiato.
Alcuni obiettivi sono stati raggiunti, di nuovi se ne sono aggiunti, ciò che è rimasto immutato è il ruolo centrale riconosciuto alla conoscenza e alla sua condivisione con la collettività.
Quanto realizzato in alcuni contesti urbani, il teatro e l’anfiteatro romano o il complesso delle terme di età imperiale c.d. “Achilliane”, poste nell’area dell’attuale Piazza del Duomo, divenuti oggetto e contesto applicativo di progetti di valorizzazione in cui la sperimentazione di tecnologie per la divulgazione ha avuto un ruolo essenziale, costituiscono la testimonianza di una volontà di dialogo, mai interrotto, con la comunità.
Da progetto di archeologia urbana, OpenCiTy si è pian piano trasformato e ha ampliato i propri obiettivi con l’avanzare della ricerca e la riflessione di un team multidisciplinare che vi ha in vario modo contribuito.
Ciò che è divenuto sempre più evidente è la consapevolezza che, se la città è la manifestazione più complessa prodotta dall’uomo nel suo agire sociale e collettivo, la sua analisi deve essere affrontata nella globalità delle sue manifestazioni concrete e dell’integrità della sua stratificazione storica. Ciò ha comportato una continua rielaborazione della base di dati che costituisce il cuore del progetto, più volte ripensata per dare voce e pari dignità, nei confronti dell’evidenza archeologica, alle testimonianze materiali e immateriali delle varie città storiche che costituiscono l’ossatura di quella attuale, mentre nuove esperienze nate nell’alveo segnato da OpenCiTy ne hanno di volta in volta misurato le potenzialità in ambiti specifici.
Così è accaduto, ad esempio, con il progetto SPIDER fortemente orientato alla sperimentazione di metodologie HBIM applicate al patrimonio edilizio urbano. Technic, destinato a rappresentarne per così dire il “Proof of Concept”, costituisce l’ultima esperienza, in ordine di tempo, nata da OpenCiTy.
L’obiettivo, ambizioso, ma certamente stimolante, che ne sta alla base è quello di tentare, attraverso la produzione e la
condivisione di conoscenza, ad “accorciare” quelle distanze che
separano ricerca scientifica sul patrimonio culturale e valorizzazione economica.
Scegliendo come contesto di studio via Crociferi, sito tra i più rappresentativi della ricchissima stratificazione storica che caratterizza la città di Catania, Technic mira alla produzione di contenuti culturali che, sfruttando le più moderne tecnologie, siano capaci di soddisfare le esigenze di un vasto e variegato pubblico.
Da un lato conoscenza, narrata attraverso le più scaltrire strategie di comunicazione e veicolata attraverso un ampio ventaglio di prodotti digitali, dall’altro contenuti, sotto forma di “semilavorati” disponibili e pronti al riutilizzo in molteplici scenari applicativi, dall’industria creativa, al design urbano, dalla pianificazione edilizia, alla valorizzazione museale.
PROOF OF CONCEPT
Con l’espressione “Proof of Concept”, letteralmente “prova di concetto”, s’intende la realizzazione pratica di un prototipo allo scopo di verificarne il funzionamento.
Nel caso specifico dell’Avviso MIUR D.D. n. 467 del 2 marzo 2018, ciò che si intendeva valutare era la spendibilità sul mercato dei risultati raggiunti all’interno di un progetto di ricerca.
Con tale finalità TeCHNIC è stato finanziato nell’ambito dell’Avviso “Proof of Concept”.
Antonino Mazzaglia
Assegnista di ricerca Senior - ISPC CNR